Fino a pochi anni fa, la Svezia era considerata uno dei Paesi europei con i tassi di omicidio relativamente bassi. Ma nell’ultimo decennio quel numero è aumentato, superando quello di molti altri Stati dell’Ue. Secondo i dati del Consiglio nazionale per la Prevenzione della criminalità (Brå), questo incremento è «principalmente legato all’aumento degli omicidi con armi da fuoco, che hanno iniziato a crescere a partire dal 2005. Inizialmente, questo aumento è stato compensato da un continuo calo degli omicidi con altri mezzi, ma dal 2013 ha contribuito a un incremento generale del tasso totale di omicidi in Svezia».
Nel 2023, gli omicidi con armi da fuoco hanno rappresentato ben il quarantacinque per cento dei casi totali. Una percentuale nettamente superiore rispetto alla media europea: in Svezia si registra infatti un tasso di circa quattro morti per arma da fuoco ogni milione di abitanti all’anno, contro una media Ue di 1,6. E questo incremento colpisce in modo particolare i giovani tra i venti e i ventinove anni.
Il rapporto di Brå “Dödligt skjutvapenvåld i Sverige och andra europeiska länder” (“Violenza letale con armi da fuoco in Svezia e in altri Paesi europei”), evidenzia che «l’aumento degli omicidi con armi da fuoco in Svezia è strettamente legato a contesti criminali in aree socialmente svantaggiate», aggiungendo che «otto omicidi con armi da fuoco su dieci in Svezia avvengono in ambienti legati alla criminalità organizzata».
Il Paese scandinavo sta vivendo una preoccupante escalation della violenza, soprattutto nelle principali città, caratterizzata da un aumento di sparatorie e attacchi nelle periferie urbane. Le gang criminali, spesso composte da giovani provenienti da quartieri svantaggiati, sono diventate una realtà sempre più radicata e difficile da contrastare.
«L’evoluzione della violenza in Svezia negli ultimi anni è complessa e difficile da interpretare – spiega Janne Flyghed, professore di Criminologia presso l’Università di Stoccolma –. Storicamente, i trend di violenza letale e non letale erano strettamente correlati. Ma nel ventunesimo secolo questa connessione è diventata meno evidente. L’aumento della violenza legata all’uso di armi da fuoco, riconducibile soprattutto a giovani uomini coinvolti in reti criminali, si discosta in modo netto sia dall’andamento generale della criminalità giovanile sia dal calo della violenza tra i giovani».
La questione della violenza in Svezia non riguarda più solamente le aree più povere del Paese. Le bande criminali, impegnate nel traffico di armi e droga, si sono fatte spazio anche nei quartieri più centrali, determinando un aumento nel numero di sparatorie. Uno dei fattori più allarmanti è il coinvolgimento degli adolescenti in queste attività. Le gang, infatti, reclutano membri sempre più giovani e chiedono loro di compiere azioni violente, che possono anche avere delle gravi ripercussioni sociali.
«Durante l’adolescenza, il ruolo dei coetanei e la ricerca di uno status sociale diventano fattori determinanti. Per i ragazzi che faticano a ottenere risultati scolastici, che non partecipano ad attività ricreative strutturate e che vedono limitate le opportunità educative e lavorative, focalizzarsi sul presente appare la scelta più logica – spiega Flyghed –. Coloro che crescono in contesti residenziali segnati da difficoltà sociali tendono con maggiore probabilità a legarsi a coetanei in condizioni simili, formando gruppi che offrono un senso di appartenenza. In un primo momento, le gang possono rappresentare sicurezza e denaro, ma a lungo andare, per la maggior parte delle persone, questa vita si rivela distruttiva e profondamente insoddisfacente».
Per affrontare questa emergenza, lo scorso 29 settembre il primo ministro svedese Ulf Kristersson ha convocato il capo delle forze armate, Micael Bydén, e il capo della polizia, Anders Thornberg, chiedendo il supporto dell’esercito per affiancare le forze di polizia nella lotta contro la criminalità organizzata.
Kristersson ha evidenziato come in Svezia molti degli attacchi, che siano sparatorie o esplosioni, vengano compiuti da giovanissimi, spesso con meno di 15 anni: «Ci sono bambini che chiedono alle gang di poter commettere omicidi». Tuttavia, il ricorso all’esercito ha sollevato perplessità sulla sua effettiva utilità nel contrastare un fenomeno così radicato e complesso.
«Nessuno tra gli esperti ritiene che l’impiego dei militari rappresenti una soluzione; si tratta piuttosto di una mossa politica. Per affrontare il problema, è necessario intervenire su più fronti – spiega Flyghed –. Dal punto di vista delle forze di polizia, è fondamentale fare luce sui crimini violenti e perseguire i colpevoli, anche solo per garantire giustizia. Per rallentare il fenomeno, è altrettanto cruciale agire preventivamente per ridurre il numero di nuovi casi. Nel breve periodo, questo può avvenire tramite programmi di deterrenza mirata o iniziative volte a favorire la defezione e il reinserimento sociale. Ma nel lungo termine la priorità deve essere quella di frenare il reclutamento di giovani uomini nei network criminali».
Flyghed evidenzia il fallimento delle politiche finora adottate, incentrate principalmente su misure repressive Per prevenire il reclutamento dei giovani, è fondamentale invece spostare l’attenzione sulle politiche di prevenzione della criminalità, investendo «nel sostegno alle famiglie, nell’istruzione per intervenire precocemente con i ragazzi in difficoltà, in attività ricreative strutturate che favoriscano il legame con figure adulte di riferimento e nel supporto all’inserimento dei giovani adulti nel mercato del lavoro», conclude.
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