Ha fatto bene don Maurizio Patriciello a rifiutarsi di celebrar messa la notte di Natale nella parrocchia di San Paolo al Parco Verde? Il gesto ha una carica simbolica elevata, perché quello del Natale è il rito più importante della cristianità, più pregno di significato religioso e sottrarlo ai fedeli è scelta piena d’implicazioni. E di fatti il sacerdote l’ha concordata con il proprio Vescovo e probabilmente anche con le forze dell’ordine. Ma resta il fatto che s’è trattato d’una decisione molto impegnativa, intesa aportare ad evidenza una situazione di strisciante intimidazione che sta tornando a condizionare – se mai fosse svanita del tutto – la vita dei residenti in quel difficile e sfortunato comprensorio, anche dopo la straordinaria profusione di energie pubbliche che per la determinata volontà della Presidente del consiglio è stata colà distribuita.
Lo sgombero degli occupanti abusivamente edifici di residenzialità pubblica avrebbe dovuto essere un auspicato colpo di grazia per i potenti camorristi che avevano eletto quel quartiere a piazza di punta per lo spaccio della droga; ed invece, il clima si èfatto molto pesante, costringendo i residenti ad uscir di casa lo stretto indispensabile, a condurre vita molto ritirata, a non frequentare la Parrocchia come un tempo. Certo, non ci si poteva attendere che un fenomeno così radicato in quel territorio, con una criminalità che capillarmente è presente nel tessuto sociale, potesse essere sgominato rapidamente con interventi di risanamento ambientale. Nei luoghi in cui è vitale, la camorra costituisce un autentico sistema di potere, capace d’influenzare la condotta di singoli e collettività per tutto quanto all’organizzazione criminale torna utile.
L’intervento dello Stato, con il suo tentativo di sostituire a quello criminale, il sistema di potere legale, governato cioè da leggi pubbliche, approvate secondo procedure prestabilite e democraticamente votate, assistito dalla pretesa al monopolio dell’uso della forza per assicurare il rispetto delle regole e l’ordinata convivenza civile, l’intervento dello Stato ha determinato un vero e proprio scontro tra sistemi di potere e dunque d’influenza. La camorra ha subito uno smacco cocente: dapprima è stata costretta, se non ad abbandonare i propri traffici – che in realtà si sono spostati in zone limitrofe, secondo un andamento che aveva caratterizzato anche la storia del Parco Verde, a sua volta successore dell’area di Secondigliano; di poi, ha dovuto addirittura assoggettarsi all’umiliazione d’essere allontanata dalle proprie residenze, messa letteralmente per strada. Uno scotto, questo, assai grave per chi è abituato ad ottenere assoluto rispetto nelle aree in cui opera, un rispetto preteso con minacce molto concrete ed efficacemente attuate ogni volta che se ne ritenga l’opportunità, senza necessità di procedure, mediazioni, processi.
La camorra vive del terrore che instilla con micro e macrocondotte intimidatrici, esige assoluto rispetto, esercita grande influenza con semplici gesti. E lo sta evidentemente facendo daccapo. Il ritirarsi in casa degli abitanti del Parco Verde, il loro rinunciare a molte delle forme di socializzazione che fanno la dignità del cittadino e riempiono la vita di esperienze e contenuti, il manifestare timore attraverso condotte caute e precauzionali, tutti fenomeni che si stanno registrando da quando quegli sgomberi sono avvenuti, sono segni inequivoci che la reazione della criminalità organizzata si sta facendo avvertire. E del resto non potrebbe essere diversamente, per un’organizzazione che deve mostrare la sua potenza effettiva nelle cose e nelle condotte concrete che provoca e determina, non potendo corredarsi di altri simboli del potere, quelli pubblici e legali appunto. Essa, con ogni probabilità, vuole dimostrare, e sta dimostrando, di non avere perso la propria capacità di condizionamento, di esercitare ancora un concreto e temuto potere, magari anche d’essere pronta a riconquistare il territorio, qualora lo Stato allentasse la presa, come inevitabilmente dovrà fare.
E soprattutto è assai plausibile che intenda vendicarsi per la mortificante esperienza d’avere voluto lasciare le proprie abitazioni, insomma d’esser stata cacciata da quello che considerava ormai un proprio regno, al cui interno non riconosceva entità a lei superiore. Ed allora, per tornare all’interrogativo dal quale hanno preso l’avvio queste brevi notazioni, ha fatto bene don Maurizio Patriciello a denunciare con la più scandalosa parola che un uomo di Chiesa potesse elevare – facendo rimanere silente il suo altare nella notte di Natale – questa situazione di pericoloso ritorno d’influenza della criminalità organizzata nel martoriato lembo di territorio campano? A mia opinione sì. Pur non conoscendo da vicino uomini e cose, so però che il rischio dell’abbassamento della soglia d’attenzione è sempre in agguato e, ripeto, nel tempo inevitabile. Solo che c’è da sperare che quando la forza delle regole legali si sarà consolidata per il trascorrere del tempo sotto la vigilanza di efficienti apparati dello Stato pronti a reprimere rigurgiti di delinquenza, quando ciò sarà accaduto, è anche possibile che quella comunità potrà essere in grado di proteggersi da sola da rischi di nuove infiltrazioni.
Quel tempo non è ancora venuto, come mostrano i fatti che sopra si sono ricordati, è ancora il tempo della paura, troppo vicine quelle esperienze di quotidiana intimidazione, troppo ancora troppo pieni concretezze i modelli culturali che ne sono derivati. Ed allora io credo che un plauso vada sinceramente riservato a chi ha coraggiosamente denunciato un rischio tuttora molto attuale e che richiede ancora molta, molta vigilanza.
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